Prendersi cura degli altri è la migliore medicina per il superamento di un evento traumatico o, più in generale, difficile e problematico. Lo spiega chiaramente Kelly McGonigal nel suo libro Il Lato Positivo dello Stress, riportando una serie di ricerche in cui è apparso evidente il bisogno di uomini e donne di ridurre il carico dello stress percepito trascorrendo del tempo con gli altri, in particolare persone care, o prendendosi cura degli altri, sia che si trattasse di esseri umani che di animali.
Secondo quanto afferma l’autrice “lo stress può aumentare la disposizione all’assistenza, alla cooperazione e alla compassione”. Vengono definiti tend-and-befriend i comportamenti attuati da alcuni animali, tra cui gli umani, che tendono alla protezione della propria prole e del gruppo sociale a cui appartengono di fronte ad una minaccia percepita. Tra questi, per esempio, comportamenti quali l’ascolto, il trascorrere del tempo insieme e il fornire supporto emotivo. Questo darebbe prova del fatto che di fronte ad uno stress, non si determinano soltanto atteggiamenti di autodifesa, come quelli di attacco-fuga, ma può attivarsi un istinto di protezione che accresce e rinforza i legami sociali. “Sotto stress, sia gli uomini che le donne si sono mostrati più fiduciosi, più generosi e più disposti a mettere a rischio il proprio benessere per proteggere gli altri”.
Naturalmente, questo non significa che lo stress sia sempre in grado di indurre nelle persone una predisposizione a prendersi cura dell’altro ma, semplicemente, che questo può accadere e che, quando accade, il superamento della difficoltà e del senso di minaccia avvengono più rapidamente senza che questi generino conseguenze dannose sulla salute psichica e fisica delle persone. Questa propensione è fortemente correlata al modo in cui ci confrontiamo con l’evento minaccioso e alla percezione che ne abbiamo, ricordando che l’impatto di un evento su di noi non dipende dall’evento in sé ma dal significato che noi diamo allo stesso.
In fondo, evolutivamente parlando, questo tipo di risposta protettiva e di cura fa pensare al bisogno di garantire alla prole e ai propri cari la sopravvivenza per la salvaguardia della specie. “L’impulso a entrare in relazione con gli altri è, insieme, una risposta naturale allo stress e una fonte di resilienza. Quando ci occupiamo degli altri, la nostra biochimica cambia e si attivano i sistemi cerebrali che alimentano la speranza e il coraggio”. Speranza e coraggio sono tra i vissuti più importanti per consentire alla persona un rapido recupero dall’evento destabilizzante che si è trovata ad affrontare e sono dei meccanismi protettivi rispetto agli effetti nocivi che lo stress può avere sul piano della salute.
I comportamenti prosociali attivano tre diversi sistemi cerebrali:
1- il Sistema di Caregiving Sociale, regolato dall’Ossitocina, ormone che favorisce le relazioni. L’attivazione di questo sistema ci rende più empatici, ci avvicina all’altro, ci rende più fiduciosi nei confronti dell’altro e più desiderosi di fare del bene;
2- il Sistema di Ricompensa, regolato dalla Dopamina, che accresce la motivazione e rende ottimisti sulla possibilità di portare a termine un determinato comportamento, riducendo la paura;
3- il Sistema di Sintonizzazione, regolato dalla Serotonina, che favorisce un miglioramento di percezione, intuizione ed autocontrollo.
Di fronte a circostanze difficili, uomini e donne manifestano grandi atti di generosità e, se possibile, lo fanno nell’immediato, come atto istintivo. La sofferenza induce il bisogno di prestare aiuto. Sono ormai numerosi gli studi che dimostrano come, dopo ogni tipo di evento traumatico, la maggior parte delle persone diventa più altruista, partecipando a raccolte fondi, offrendo assistenza, dedicandosi al volontariato e mettendo in atto una serie di iniziative benefiche. Questo altruismo produce del bene non soltanto in chi lo riceve ma anche in coloro che lo promuovono. “Quanto maggiore è la quantità di tempo che i sopravvissuti al trauma spenderanno per aiutare gli altri, tanto più grandi saranno la felicità e la significatività che attribuiranno alla loro vita”. La sofferenza produce altruismo e questo perché, come spiega Kelly McGonigal, prestare aiuto permette di trasformare la paura in coraggio e l’impotenza in ottimismo e senso di maggior controllo ma anche di prevenire una riposta di sconfitta che pone chi la vive in una condizione di resa, di perdita di speranza e di sopraffazione con conseguente ritiro sociale, depressione e rischio suicidario. Diventa un modo di impegnarsi a favore della vita e della collettività, di vivere il senso di condivisione di un’esperienza generatrice di sofferenza senza sentirsi soli.
Dunque, nonostante sappiamo come lo stress accresca il rischio di ammalarsi e riduca l’aspettativa di vita, queste possibilità non sembrano confermarsi per le persone che manifestano un approccio tend-and-be-friend, ossia di aiuto e cura dell’altro. Due sono le lezioni più importanti che possiamo apprendere dalle ricerche riportate dall’autrice: che non siamo soli nella nostra sofferenza e che siamo in grado di aiutare gli altri, agendo sul nostro benessere e su quello altrui. “Sia che siate sopraffatti dal vostro stress o dalla sofferenza altrui, il modo per trovare speranza è entrare in relazione, non fuggire”.
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