Cosa saresti disposto a fare per cambiare vita? Lasceresti tutte le tue comodità per andare a vivere in una piccola ma confortevole casetta su un albero? È la prima domanda che ho rivolto a me stessa quando ho cominciato a leggere il libro “La mia casa sul ciliegio” di Gabriele Ghio. Oggi quarantenne, Gabriele quasi cinque anni fa ha compiuto una scelta trasformativa nella mente e nel corpo, quella di andare a vivere in una piccola costruzione in legno posta su un albero di ciliegio. Nel suo libro racconta un prima e un dopo, segnati da un evento dirompente, di quelli che lasciano il segno e inducono a rimescolare le carte della vita.
Il tema del cambiamento è colonna portante del libro, non raccontato come scelta facile ma come ricerca di autenticità e di reale ascolto di sé costellati da dubbi, incertezze e dalla paura dell’ignoto, di un futuro incerto che ha preceduto e per un po’ accompagnato la scelta coraggiosa, perché il coraggio ha le sue radici nella paura e spesso se ne accompagna.
È un libro di riscoperta di sé e del proprio senso di connessione con la Natura che non è sempre clemente ma che va rispettata e amata, poiché è da lei che dipendiamo. Nel libro, infatti, Gabriele percorre una serie di passaggi che lo inducono ad accogliere uno stile di vita quanto più sostenibile possibile, avendo compreso come ogni gesto compiuto vada ad impattare sull’ecosistema. Infinitamente dolci e poetici gli incontri con alcune creature del bosco, molto più abili di noi umani ad accogliere ed integrare l’”estraneo”, il “diverso”.
Ho chiesto a Gabriele di lasciarci una sua testimonianza di questa scelta di vita, attraverso un’intervista aperta in grado di darci molti spunti di riflessione.
Gabriele, nel tuo libro racconti che le cose di cui abbiamo davvero bisogno sono poche. Quali sono secondo te?
Semplicemente poter vivere. Vivere per me vuol dire le cose di cui hanno bisogno mente e corpo quindi l’aria, calpestare la terra, camminare, lavarsi, mangiare, dormire…tutte queste cose ce le siamo un po’ dimenticate o meglio, le facciamo ma le facciamo sempre in un lasso di tempo troppo marginale, troppo di contorno. Invece sono veramente molto importanti perché prima di tutto mettiamo il dover andare al lavoro, il dover diventare, il dover apparire, il dover essere e quindi le cose fondamentali della vita arrivano sempre in secondo piano. Ti faccio un esempio che ho vissuto a casa mia e che vedo spesso nella gente: quando una persona si sente male dice “poi andrò a farmi vedere”, cioè prima di tutto viene “devo pensare a quello, devo fare le ferie, devo mandare avanti il lavoro, devo mettere a posto la casa” e poi deciderò di andare a farmi vedere quando sicuramente quel dolore sarà diventato qualcosa di oramai troppo devastante. Questo concetto ci fa già capire che il nostro vivere è messo in ultima posizione. Succede a tutti, un po’ tutti i giorni. Da qui si collegano i pilastri di una vita come respirare, mangiare bene…tante volte io mi dimenticavo anche di pranzare per quanto dovevo e volevo lavorare, cioè io mi ero creato uno schema in cui “dovevo”…mi era stato insegnato che dovevo arrivare a fare 2000 ore al giorno, di conseguenza le cose importanti arrivano in terzo piano come la felicità…qual è la mia felicità? A me qualcuno mi ha mai insegnato ad essere felice? Qualcuno ce lo ha mai insegnato nella nostra cultura? A scuola qualcuno ci ha mai insegnato chi vogliamo veramente essere da grandi o cosa sentiamo dentro o cosa vogliamo fare? Una società fatta di persone felici è tutto un altro mondo!
L’incidente di cui parli dettagliatamente fa risvegliare in te una consapevolezza che potremmo considerare l’inizio del tuo cambiamento. Puoi spiegarci che cosa è accaduto in quel momento?
La consapevolezza è nata precisamente quando mi hanno inserito dentro il tubo per fare la TAC. Ho vissuto un momento di euforia di una bellezza pazzesca che io non avevo mai vissuto in vita mia. Questo stato di euforia era di una bellezza soave, mi sentivo invincibile, non mi importava nemmeno se avevo avuto delle conseguenze, stavo bene, era bellissimo. In quel momento è nata questa consapevolezza, ho capito che io ero fatto per qualcosa fuori dai canoni, dai limiti, dagli schemi, ero fatto per lottare per me, per la mia felicità, per andare a scovare delle alternative, delle possibilità, qualcosa di bello, per andare a tirar fuori un fiore nascosto. Già lì si stava insinuando questa consapevolezza, non mi interessava se stavo male perché finalmente nella mia vita mi ero reso conto che valevo. Fino ad allora, avevo sempre avuto dei complessi di inferiorità, non mi bastavo mai, mi sentivo sempre il fanalino di coda, quello che non è riuscito a fare un qualcosa, sempre nel posto sbagliato, a far cose che non mi servivano e che non sentivo però la società o la famiglia mi portava lì. In quel momento ho capito di valere perché io ho riconquistato la vita da solo, di fronte ad un incidente in cui probabilmente qualcun altro avrebbe buttato la spugna, io ce l’avevo fatta. Io valevo finalmente ai miei occhi, ero qualcuno e me l’ero proprio dimostrato e avevo riconquistato la vita, la cosa più grande del mondo. La presa di coscienza è nata lì, con questi bellissimi sentimenti nei miei confronti e il fatto di aver riconquistato la vita me lo ha fatto capire soprattutto il confrontarmi con gli altri pazienti, dove io me l’ero andata a cercare e loro no. Mi sono detto “Gabriele, in un nanosecondo ti stavi per uccidere e la tua vita stava per cambiare, loro no, quindi se ne esci e ne esci senza conseguenze, qualsiasi cosa ti passi per la testa devi essere grato di aver la possibilità di poter fare qualsiasi cosa. Se domani esci da questo ospedale ed avrai mille bivi nella vita, scegli quello veramente vero per te, per la tua felicità, per chi sei! Non camminare tanto per camminare, cammina veramente nella direzione in cui vuoi andare, sennò sprechi solo il tuo tempo”. È stato l’insieme di questi sentimenti che mi hanno dato una forte euforia e che mi hanno fatto capire chi sono e dove volevo andare. L’albero non c’era ancora ma volevo andare più o meno lì. Per quanto io non l’abbia cercato, lui si è palesato o comunque nella mia vita si è palesata la possibilità di poter andare lì. Io finalmente mi sono ascoltato e al bivio ho svoltato per la strada giusta. Prima andavo per la strada che mi indicavano i genitori, la società, la vergogna. Il primo sentimento nell’incidente è stato la vergogna. Stavo per morire eppure vivevo la vergogna che se ne uscivo ne uscivo sfigurato e avrei dovuto dire a tutti che ero sfigurato perché avevo fatto una cavolata. Vivevo la mia vergogna. Dopo, basta vergogna, ho cominciato a prendere le mie strade giuste.
Quali passi potremmo compiere, all’interno delle nostre vite spesso frenetiche e orientate al consumismo, per riscoprire una quotidianità semplice ed essenziale?
La cosa più ovvia per me è spegnere il rumore attorno a noi e quindi spegnere il cellulare, la televisione, la radio e prendere gli abiti per quello che sono, non della moda ma quelli che ci proteggono dal freddo e andare nella Natura. Stare nel silenzio da soli. Stare da solo nel silenzio di fronte alla Natura è come una forma terapeutica, fa tutto da sé e tu non devi fare nulla. Tanti mi scrivono che vanno nella Natura perché hanno bisogno di staccare…c’è sempre questo bisogno di staccare, sembra che nella nostra vita siamo “sfasciati” dal mondo e dobbiamo staccare la spina, disinnescare qualcosa per andare a riconnetterci con noi stessi. Dovrebbe essere il contrario, dovresti essere connesso con te stesso sei giorni su sette ed uno in cui ti lasci “sfasciare”. Il semplice atto di spogliarsi dalla società, quindi togliersi trucco, parrucco, maschere, orecchini, orologi, modi di fare, essere esattamente l’essere umano che sei, ti vesti per come ne hai bisogno e vai nella Natura. Stare da solo nella Natura più tempo possibile è qualcosa che innesca delle cose dentro di te…la Natura è uno specchio che riflette tutto ciò che c’è dentro di te. È una forma terapeutica. Dentro di noi abbiamo tutti gli strumenti che vogliamo per poter fare qualsiasi cosa, ci sono stati dati, dobbiamo solo avere il coraggio di prenderli e saperli utilizzare. Quindi per me è il silenzio nella Natura ma se uno non riesce, è semplicemente bello occhi chiusi e silenzio in casa tua, in un angolo al buio e già lì incomincia una forma di qualcosa. È molto difficile, anche io quando vivevo in un appartamento dopo cena volevo fare un sacco di cose, di lavori dentro e fuori di me però poi la stanchezza, il divano e la televisione mi fregavano. Quando hai la “tentazione” così vicina è difficile, più sei distante e meglio è.
La vita immersi in Natura significa anche contatto con il silenzio, il vuoto, la noia, oggi condizioni per molti insostenibili…come fai a starci e che consigli potresti dare a chi ha difficoltà ad accettarli?
Silenzio e vuoto sono dimensioni che non ci sono state date, non le conosciamo, quindi quando incontriamo qualcosa di così assordante – perché il silenzio è molto assordante – andiamo nel panico… perché incominci ad ascoltare te stesso “cosa sono queste vocine? cosa sono questi pensieri? chi è questo con cui sto vivendo già da anni? pensavo di conoscerlo ed invece non lo conosco per niente!”. Il silenzio nella Natura non esiste, esiste una forma di silenzio che cambia molto in base alle stagioni. Il silenzio è uno spazio libero, un foglio bianco dove finalmente possiamo essere noi stessi, possiamo fare ciò che vogliamo senza che nessuno ci dica “devi” “fai”, è senza limiti e senza regole, in quel silenzio possiamo essere quello che vogliamo, cosa che per me è molto positiva ma varia da persona a persona. Il silenzio è uno spazio dove io posso fare quello che voglio e nessuno lo va ad intaccare, dove finalmente faccio quello che mi piace, una grande libertà, uno spazio infinito. Io ho sempre odiato i limiti, ho sempre avuto un problema con i limiti fin da piccolo, il silenzio mi ha aiutato… ma bisogna avere gli strumenti, è una grande cosa che va presa a piccole quantità sempre più grandi, è una forma amica che va gestita con il tempo.
Silenzio e vuoto le trovo cose molto positive, sono spazi dove posso inventare qualcosa. Qui nel bosco ho trovato degli spazi di silenzio e vuoto dove se volevo costruirmi un tavolo, potevo costruirlo come volevo, se volevo camminare al contrario lo facevo senza che nessuno mi giudicasse, potevo essere qualsiasi forma, se volevo uscir di casa spettinato, nudo, vestito male, con le macchie sulla maglietta la Natura non mi puntava un ramo. Tutto è grande libertà, grande gioco, è uscito molto il mio essere bambino. La noia non l’ho mai provata, sono sempre stato preso da tante voglie, dall’idea di fare cose. Nel bosco, da solo, dove uno dice “non c’è niente” puoi immaginare la noia ed invece in quel “niente” io ho trovato l’infinito, la libertà di fare mille cose.
Nel tuo libro, ad un certo punto, dichiari che il tempo della rinascita coincide con quello di una fine. La tua rinascita alla fine di cosa ha corrisposto?
La mia rinascita è passata attraverso un patimento, una sofferenza, un po’ quella del Gabriele di prima ed un po’ attraverso l’incidente; un po’ come quando nasci c’è comunque una forma di dolore, la mia rinascita è stata dietro il patimento di una vita che per Gabriele non era la sua. Con questo incidente ho sofferto, è stata una sofferenza per me molto sana, lo ricordo con grande emozione. Per salire e andare a vedere un bel panorama devi comunque fare la fatica di salire e quindi prima di godere di qualcosa devi metterti in pratica nel trasformarti, cambiare, tirar fuori la fatica, il coraggio. Se vuoi ottenere qualcosa dalla vita devi darti da fare e darsi da fare non è una carezza. Spesso la gente mi dice “Gabriele sto soffrendo” ed io gli dico “approfittane! Finito questo momento scoccherai la tua freccia!” quindi dietro ad un momento brutto c’è sempre un perché ben preciso, stai rivedendo determinate cose, stai rivoluzionando la tua vita e a breve spiccherai.
Che cos’è per te la felicità?
È una cosa per cui devi sempre lavorare per continuare a raggiungerne più di una; la felicità non è solo una, quella che io ho raggiunto adesso, ma cambia nel tempo e soprattutto comincia a sfumarsi, a perdere il bello. In tutto esiste un’evoluzione quindi poi devo rimettermi al lavoro per andare a ricostruire una nuova felicità. Per me la felicità è nelle piccole cose, anche cucinarmi un buon piatto di cibo può essere una felicità. Se vuoi essere felice devi essere sveglio, attento, andare avanti, quindi la felicità è un proprio lavoro, il più delle volte molto semplice e povera o meglio, più è semplice e più è profonda. Io provo grande felicità da tutto ciò che mi dà delle emozioni come guidare il mio fuoristrada quando vado nel deserto, non è il fuoristrada ma è l’insieme del terreno, del rumore, della libertà, dell’adrenalina che poi mi porta delle emozioni; anche piangere, essere triste è comunque un’emozione, anche lì c’è una sorta di felicità. Bisogna avere gli occhi giusti per trovarla.
Che consigli daresti a chi desidera fortemente qualcosa ma non riesce a muoversi per conquistarla?
Io mi sono semplicemente lasciato andare. Quello che mi ha aiutato è che stavo male ed io non volevo più stare male, mi sono chiesto “perché devo soffrire nella mia vita? Io voglio essere felice!”, mi sta passando il tempo sotto le mani e magari domani sto male veramente o mi capita un altro incidente, io ho passato la mia vita a soffrire. Una domanda che mi è stata posta da un signore e mi ha svegliato tanto è stata “Gabriele, tu sei venuto al mondo per essere felice o infelice? per stare bene o per stare male?”, allora ho capito che la mia felicità dipende da me, che non devo dare la colpa a mio papà, a mia mamma, al mondo. Quando ho capito che dipende da me e in quel momento stavo male ho smesso di crogiolarmi e fare la vittima. Sono ragionamenti che fai dentro di te quando tutto va allo sfascio e non sai più cosa fare. Io ero proprio apatico…avevo perso la fidanzata, il contratto di casa non mi veniva rinnovato…guidavo la macchina per andare al lavoro e nulla mi toccava, non sentivo il gusto della felicità, era tutto uguale, tutto piatto. Quando sono arrivato lì (alla casa sull’albero) ha cominciato a muoversi qualcosa. Quindi devi perderti, prendere la tua vita, te stesso e buttarti nell’abisso, ad un certo punto rinascerai da qualche parte. Anche io ho dovuto perdermi in questo oblio di apatia, poi mi sono messo all’ascolto ed ho trovato la mia strada.
Il tuo prossimo progetto è andare in giro per il mondo per conoscere persone che hanno fatto scelte simili alla tua e visitare altre case sugli alberi. Quando è prevista la tua partenza?
Ci sto lavorando tanto, ci sono alcune difficoltà ma ho capito che la mia direzione è quella, vengo un po’ chiamato da questo viaggio. Qui dove sono io ho girato e rigirato la frittata e non sento più i sapori, ho bisogno di andare a scoprire qualcosa, di fare quest’altro percorso, di mettermi di nuovo in gioco ed andare a conoscere qualcuno come me. In questo viaggio, che aprirò a Giugno o Luglio con una piccola parentesi solo italiana, andrò a conoscere queste persone e a visitare queste case sugli alberi o ecovillaggi o comunque storie di cambiamento. Questa prima parentesi italiana sarà per me un rodaggio per poter poi proseguire all’estero, il mio obiettivo finale è arrivare in Costa Rica con il mezzo con cui è nato tutto, il mio fuoristrada. Vorrei condividere il mio viaggio con persone conosciute e sconosciute, apprendere quella che io chiamo la cultura “arboricola”. Il viaggio per me è un grande regalo, il regalo nella vita è la possibilità di poter scegliere, noi di solito non ci diamo la possibilità di scegliere. Io mi regalo la possibilità di scegliere di andare in giro nel mondo, di viaggiare e di scegliere quali saranno i miei prossimi quarant’anni, di trovare un nuovo terreno nel mondo dove costruire la mia casa sull’albero. Vorrei costruirmi questa casa sull’albero per la mia vita e per la mia famiglia. Io sento il bisogno di Natura, mare e libertà. Ho pensato alla Costa Rica perché c’è un bellissimo villaggio di case sugli alberi e perché quella zona del mondo mi affascina molto. Questo viaggio sarà come camminare su un cavo, vorrà dire persone sconosciute, permessi, stare da solo nel mondo, un sottile equilibrio non semplice di cui sento già le enormi emozioni. Da un lato ne sono molto attratto, dall’altro ne sento già i timori.
Grazie Gabriele per averci reso possibile credere nel cambiamento, in tutte le sue forme. Non è necessario, infatti, compiere scelte estreme per ritrovare se stessi, a volte basta solo avviare un piccolo passo in una direzione diversa da quella usuale.
Potete trovare Gabriele Ghio su Facebook ed Instagram.
Ringrazio Elena Grazini per avermi permesso di impreziosire l’articolo con le bellissime fotografie di Matteo Bellizzi.
Se desideri acquistare questo libro, fai clic sul link qui sopra per avere maggiori informazioni. Sito affiliato Amazon. Tutti i libri che ti propongo sono letture fatte direttamente da me e liberamente recensite.